30 gennaio 2009

Famiglia, promuovi la cura della salute

GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
“La famiglia ama e serve la vita anche nel promuovere la cura della salute e nel sostenere la prova della sofferenza”
(Famiglia diventa anima del mondo, p. 53).

Questa frase introduttiva ai numeri 16 e 17 della Lettera Pastorale del Cardinale Arcivescovo nei quali prende in considerazione la cura della salute e la prova della sofferenza evidenzia che la famiglia, “società naturale fondata sul matrimonio” come espresso dal Magistero della Chiesa e dall’articolo 29 della Costituzione italiana, è da ritenersi un soggetto attivo in molteplici aspetti compreso quello della salute e della sofferenza. Sul requisito del “matrimonio” come fondante la famiglia, la Lettera Pastorale ne tratta in più occasioni; quello che vogliamo evidenziare come Servizio di Pastorale della Salute, sono alcuni significati specifici.

1. La cura della salute. Il primo riguarda il termine “salute” così descritto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo un’assenza di malattia e di infermità”. La definizione, è stata precisata ed integrata dalla Nota della Consulta nazionale per la pastorale della sanità “La pastorale della salute nella Chiesa italiana” (1989): “Il concetto di salute ha acquistato nuove e importanti connotazioni. Non si rapporta, infatti, unicamente a fattori fisici ed organici, ma coinvolge le dimensioni psichiche e spirituali della persona, estendendosi all’ambiente fisico, affettivo, sociale e morale in cui la persona vive ed opera. Un rapporto profondo è avvertito tra salute, qualità della vita e benessere dell’uomo” (n. 6).
Dunque, la salute, interessa la sfera individuale, comunitaria e sociale; anzi, esiste uno stretto legame tra salute e autorealizzazione, co­me pure tra salute e pienezza della vita. La salute, non è unicamente un fatto personale, ma è anche un vivere la propria esperienza nel mondo insieme con gli altri per svolgere attivamente un ruolo e realizzare la propria vocazione (cfr. o.p. p. 41, n. 12).
In forza di queste definizioni la famiglia è protagonista nel promuovere ed educare alla salute in vari aspetti della quotidianità: garantendo un stile di vita sana per i figli anche mediante l’attività fisica; assicurando un'alimentazione adeguata; mantenendo l'igiene di base, la pulizia e il ritmo regolare sonno-veglia; applicando misure di prevenzione per ridurre gli incidenti domestici; eliminando l’assunzione di alcol, droghe e tabacco; usando correttamente i mezzi di comunicazione: televisione, internet, giochi elettronici; coltivando le relazioni e il dialogo al suo interno e nel sociale; crescendo l’aspetto spirituale con la preghiera, la riflessione ed appartenendo alla comunità cristiana.

2. La prova della sofferenza. Più complesso e faticoso risulta il compito della famiglia nel “sostenere la prova della sofferenza”.
La famiglia, quando al suo interno si presenta la malattia, è coinvolta a vari livelli, con notevoli conseguenze sull’ammalato e su ogni componente del nucleo, cambiando le relazioni e modificando abitudini, stili e comportamenti. Alcune famiglie ne escono rafforzate, altre, invece, indebolite o distrutte; quindi, il contesto famigliare, può divenire una potenziale risorsa, ma anche in una complicazione.
Inoltre, a volte, i famigliari condizionano negativamente anche l’aspetto spirituale dell’infermo e il suo porsi nei confronti del dolore. Il caso più emblematico è il veto che alcuni pongono al sacerdote che vorrebbe amministrare l’Unzione degli Infermi.
Gesù, nei miracoli di guarigione, pone grande attenzione non solo al malato ma anche a quelli che possiamo definire gli “intermediari” tra Lui e il sofferente, che svolgono diverse funzioni. Presentano l’ammalato a Gesù come avviene per la suocera di Pietro: “Gli parlarono di lei” (cfr. Mc 1, 29-31), oppure lo accompagnano da Lui come è successo per il paralitico “calato dal tetto” (cfr. Mc 2, 1-12). Gli intermediari, famigliari o amici, dimostrano una squisita attenzione nei riguardi dell’infermo che si concretizza nel farsi carico della sua sofferenza e nel condurlo alla presenza di Gesù, anche superando dei disagi. Cristo riconosce e premia questa fede: osservata quella degli accompagnatori del paralitico, lo guarisce; elogiata quella della donna cananea: “Donna, davvero grande è la tua fede. Ti sia fatto come desideri” (Mt 15, 28), risana la figlia.
Dunque, la famiglia colpita dalla malattia, se credente, possiede una forza maggiore per vivere questa esperienza. Anche se all’inizio l’ evento è percepito come punizione o come castigo, il supplicare l’intercessione di Dio è fondamentale e fonte di conforto e di speranza. A volte, è posta in discussione la stessa esistenza di Dio, oppure Egli può apparire lontano e non più il Dio che si riteneva di conoscere: eppure, in questo itinerario buio, Egli può essere riconosciuto e riscoperto donando la capacità dell’accoglienza serena del Suo volere. Infatti, la fede intesa come fiducia ed abbandono, include il senso dell’accettazione e la consapevolezza dell’essere al Suo cospetto importante, unici ed irrepetibili. Il cristiano è chiamato a riconoscere Dio come Padre, sorgente della vita, che invita l’uomo a rispondere positivamente alle varie situazioni dell’esistenza. In quest’ottica la sofferenza e la malattia non sono più percepite come punizione ma come occasione per utilizzare al meglio le risorse umane, per poter offrire la migliore risposta.
Solitamente queste convinzioni non vengono espresse unicamente a parole, ma con l’accettazione delle situazioni, oltre che con la pace e la serenità interiore che si trasmette agli altri. Tra i molti esempi vorremmo evidenziare quello della venerabile Benedetta Bianchi Porro (1936-1964), che speriamo presto di vedere presto elevata agli onori degli altari dal magistero della Chiesa, una giovane donna colpita da un terribile tumore del sistema nervo­so che la fece diventare paralizzata, sorda e totalmente cieca. C'erano motivi umanamente più che sufficienti per cadere nella disperazione e nella ribellione e invece, essendo profondamente credente ed accompagnata con fede ed amore dalla famiglia, Benedetta ha saputo manifestare la sua gratitudine e il suo amore verso Dio anche per la sofferenza che l’aveva colpita. Pochi mesi prima della morte, già sorda e cieca, detta alla mamma una meravigliosa lettera per un giovane disperato. Dice così: "Caro Natalino, fino a tre mesi fa godevo ancora della vista: ora è notte. Però nel mio calvario non sono disperata. Io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta. Prima nella poltrona, ora nel letto, che è la mia dimora, ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza fino alla consuma­zione dei secoli!".
La pastorale della salute sta progressivamente prendendo coscienza dell’importanza di garantire la presenza solidale della comunità cristiana accanto alle famiglie con un componente malato e gravata dal pesante carico del doverlo assistere in ospedale o presso il proprio domicilio (Cfr. pag. 57, n. 17).
Serve farsi “compagni di viaggio” della famiglia del malato, come ci insegnano pagine eccelse del Vangelo (I due discepoli di Emmaus Lc 24, 13-35 e la parabola del Buon samaritano Lc 19, 25-37) con l’attenzione, la discrezione, la capacità di ascolto delle fatiche, dei problemi, dei dubbi e delle angosce, con la finalità di aiutare il singolo e il nucleo famigliare a scoprire le risorse positive per sostenere la prova della sofferenza e viverla come fonte di crescita per tutti (Cfr. pag. 59, n. 17).