13 febbraio 2009

SPECIALE SAN PAOLO

VIVERE IN CRISTO GESÙ

Premessa
Per capire il ragionamento che Paolo fa in questa pericope, occorre tenere ben presenti i tre dati di fatto da cui egli parte e che sono quelli indicati nella PREMESSA del Sussidio.
L’ira di Dio (Rm 1,18): dopo il peccato originale, l’umanità, abbandonata a se stessa, era sotto l’ira di Dio. Cioè sotto l’ira intesa come giudizio negativo di Dio nei confronti di una umanità che lo aveva rifiutato, che aveva messo e continuava a mettere ostacoli al dispiegamento del suo amore gratuito.
Il vanto degli Ebrei (Rm 2,17-18.23): Qui Paolo smonta la tesi degli Ebrei secondo la quale, per avere le benedizioni divine, bastava possedere e conoscere la Torah (Legge). La Legge mosaica, buona e santa in sé, ha fatto conoscere all’uomo la volontà di Dio, ma senza comunicargli la forza interiore per adempierla; in questo modo è riuscita solo a fargli prendere coscienza del suo peccato e del bisogno che ha dell’aiuto di Dio.
Tutti hanno peccato (Rm 5,12): quindi l’uomo era sotto il regno della morte.

La situazione di grazia del cristiano giustificato (5,1-2)
L’importanza di questa pericope si rivela già dal 1° versetto nel quale sono presenti le parole più importanti del Cristianesimo: giustificati (noi che abbiamo creduto siamo stati accolti da Dio come suoi), fede, pace, con Dio, Gesù Cristo. Utilizzandole opportunamente potremmo costruire le seguente significativa frase: «Giustificati in forza della fede, abbiamo pace verso Dio, attraverso il Signore nostro Gesù Cristo». Ed ecco il Cristianesimo!
Il tema della pace, oggi di grande attualità, non indica semplicemente l’assenza di guerra e di tensione, bensì il complesso dei beni che Dio dona al suo popolo (nell’A.T.), il più grande dei quali è il suo Figlio unigenito, Gesù Cristo «nostra pace» (nel N. T.) e mediante la fede in Cristo, il cristiano si accosta alla bontà di Dio, perché ha ristabilito, attraverso Cristo, un rapporto corretto con Dio. Si realizza, così, una situazione di grazia, intesa nel senso di una benevolenza attiva da parte di Dio e di Cristo.
Dalla positività della situazione in cui si trova, il cristiano guarda al futuro con speranza, anzi si vanta «nella speranza della gloria di Dio».
Il vanto del credente è lo stare in piedi di fronte al mondo che lo vorrebbe in ginocchio. È un vantarsi non di se stesso (come pretendono i Giudei), ma del Signore che lo ha liberato e gli ha restituito il vanto di poter essere di fronte al suo Signore. È il vanto della creatura che ha ritrovato l’immagine di se stessa, quella che Dio gli ha donato fin dall’origine del mondo (“E Dio creò l’uomo a sua immagine” (Gen 1,27). Infatti Gesù, entrando nella storia dell’umanità, ha preso su di sé la nostra umanità per donarci la sua divinità, si è fatto come noi per farci come lui! Non diventiamo Dio, però diventiamo di Dio, cioè santi.

Il vanto nelle sofferenze (5,3-4)
A questo punto – sorprendentemente – Paolo abbina il vanto nella speranza della gloria di Dio al vanto nelle sofferenze: «Ma c’è di più: addirittura siamo orgogliosi delle nostre sofferenze». Questa affermazione appare, a prima vista, paradossale: come è possibile che l’uomo si vanti di ciò che lo ostacola nel suo cammino? E perché Paolo sente il bisogno di abbinare subito le sofferenze alla speranza della gloria?
Alla base di queste affermazioni sta l’esperienza personale di Paolo che si è sviluppata attraverso numerose sofferenze patite nel corso della propria esistenza.
La benevolenza di Dio e di Cristo non liberano il cristiano dalle sofferenze, ma ne cambiano il segno rendendole una partecipazione alla croce di Cristo per condividerne poi la risurrezione, indivisibile dalla croce.
Il credente sa che la sofferenza di Cristo è la conseguenza di una lotta contro il male in favore dell’umanità e della sua umanizzazione; Cristo, nell’opporsi al male, soffre. Nel suo vincere il male, è abbattuto, vinto. Nel suo trionfare è crocifisso. Il credente sa che essere discepoli di questo Cristo produce la sofferenza, perché il male già vinto è, ancora per breve tempo, libero di manifestare il suo terribile volto. Il credente, che sta dalla parte di Cristo, non può rinunciare a partecipare a questo scontro.
Anzi il vanto dà una dignità a questa sofferta lotta, dà una libertà. La sofferenza è il frutto di una lotta di liberazione alla quale il credente partecipa. Ed ecco, quindi, la catena: la sofferenza produce fermezza, tenacia, pazienza, perseveranza. La perseveranza ci rende forti, tempra il nostro carattere, ci fa fare esperienza nelle molteplici prove della vita.

La speranza (5,5)
E le prove generano speranza. Una speranza certa, fondata, a prova di bomba, perché basata sull’amore gratuito di Dio, versato continuamente nei nostri cuori dallo Spirito Santo, a partire dal giorno del nostro Battesimo.

Dio nella morte di Cristo dimostra il suo tipo di amore (5,6-8)
Qui Paolo, dubitando che non sia sufficientemente chiaro il significato dell’amore di Dio, con i versetti dal 6 all’8 sottolinea la necessità di considerare l’amore di Dio a partire da Cristo, ed è il modo più perfetto per affermarlo: mentre noi eravamo peccatori, Dio, in Cristo - mediante la sua morte -, ci ha amati! Questo è il versetto più bello della Bibbia!

La riconciliazione in atto (5,9-11)
La morte del Figlio di Dio per noi ci ha, dunque, riconciliati - inizialmente – quando eravamo nemici. Di più, se la morte del Figlio ha prodotto in noi la riconciliazione che abbiamo, la sua vita e la sua vitalità di risorto applicata ugualmente a noi ci porterà alla salvezza, intesa come la riconciliazione più piena e la realizzazione del progetto di Dio sopra di noi. Ecco di nuovo l’evento pasquale che si presenta ai nostri occhi e ai nostri cuori: l’evento che ci riconcilia e che, partecipato fin da adesso, è già in azione e punta al suo perfezionamento alla fine dei tempi, garantendoci che non arrossiremo. Possiamo davvero sperare ed entusiasmarci di fronte a questa realtà, possiamo davvero vantarci in Dio, consapevoli del fatto che tutto questo lo dobbiamo a Cristo, il dono per eccellenza da parte del Padre (come detto all’inizio), da cui abbiamo ricevuto la riconciliazione.