19 giugno 2009

REFERENDUM 21 GIUGNO 2009

Nel pressoché assordante silenzio dei mass-media sulle prossime consultazioni referendarie, questo articolo si propone di fornire informazioni indispensabili per poter rispondere con consapevolezza ai quesiti ai quali siamo chiamati.


Domenica 21 giugno, insieme ai ballottaggi per le provinciali, è indetto il referendum per cambiare la legge elettorale che regola l’attribuzione dei seggi alle forze politiche. Però a tutt’oggi tutto tace!!
Siamo chiamati ad esprimere il nostro parere attraverso un sì o un no. Ci si può anche astenere: se il referendum non raggiungesse la metà più uno degli aventi diritto il referendum non avrebbe conseguenze.
Ma cosa chiedono i referendari?
L’attuale legge elettorale della Camera e del Senato (legge n. 270 del 2005) – definita “Porcata” dal suo stesso estensore on. Calderoli – prevede per l’assegnazione dei seggi alle diverse forze politiche un sistema proporzionale con soglia di sbarramento e premio di maggioranza.
Tale premio, pari al 55% dei seggi, è attribuito su base nazionale alla Camera dei Deputati e su base regionale al Senato. Oggi esso è attribuito alla “singola lista” o alla “coalizione di liste” che abbia ottenuto il maggior numero di voti validi espressi.
La possibilità di ottenere il premio di maggioranza anche per la coalizione di liste ha fatto sì che alle elezioni del 2006 si siano formate due grandi coalizioni “piglia-tutto” composte da numerosi partiti, incentivando ulteriormente la frammentazione. Dinnanzi a questo stato di cose sempre nel 2006 venne costituito un comitato promotore per il referendum elettorale presieduto da Giovanni Guzzetta e coordinato da Mario Segni.
Il Comitato referendario ha proposto sostanzialmente tre quesiti.
Il primo (scheda viola) e il secondo (scheda beige) quesito (rispettivamente per la Camera dei Deputati e per il Senato) propongono l’abrogazione del collegamento tra liste e della possibilità di attribuire il premio di maggioranza alle coalizioni di liste. In caso di vittoria dei sostenitori di tale referendum la conseguenza sarebbe che il premio di maggioranza verrebbe attribuito alla lista singola che otterrà il maggior numero di voti e non più alle coalizioni di liste.
Il terzo ed ultimo quesito (scheda verde) riguarda un annoso problema, cioè le candidature multiple. Se l’esito fosse positivo, questo comporterebbe l’impossibilità per un candidato di essere presente in più circoscrizioni e ai candidati più noti e importanti di correre in tutte le circoscrizioni per poi cedere il posto a candidati meno noti, beneficiari di una sorta di “ trascinamento” da parte del loro leader e a scapito della trasparenza eletto-elettore. Infatti numerosissimi parlamentari sono stati eletti “di fatto” dopo il voto, attraverso il meccanismo dei subentri. Il nome forte e conosciuto si candida in più circoscrizioni, risulta eletto ovunque e solo dopo il voto opta per la circoscrizione preferita, liberando quindi i posti in lista e facendo così scorrere la lista. Da questo punto di vista il referendum introduce un correttivo alla designazione nazionale dei partiti e un rapporto più stretto tra colui che vota e colui che viene votato.
Diverse sono le motivazioni che inducono alcune forze politiche a sostenere che non bisogna andare a votare: si parte dalle forze più piccole che temono uno schiacciamento a favore pei partiti più grossi; c’è chi sostiene inoltre essere di competenza dei partiti accordarsi su questi punti delicati, ma per lo più oscuri ai cittadini; c’è chi teme un rafforzamento tale del partito maggioritario che si rischierebbe così di ammazzare la democrazia.
Ci sono poi una serie di ragioni che portano altri a sostenere la bontà di esprimersi e rispondere si: i referendari insistono sull’elemento di pungolo che avrebbe la riuscita del referendum sull’inattività dei partiti ad accordarsi per avere una legge elettorale diversa dal “porcellum”; sostengono inoltre la necessità di ridurre ancora di più la frammentazione dei partiti per una maggiore trasparenza del lavoro politico. Essi temono moltissimo l’astensione, perché ciò significherebbe il perdurare del’attuale status quo tra le forze politiche.
C’è da osservare che qualunque sia la decisione che ogni cittadino maturerà, è urgente pretendere che riprenda in Parlamento un confronto tra i partiti che risolva alcuni nodi istituzionali; che la politica sappia farsi carico del bene comune e non di interessi solo di parte; che i cittadini siano informati correttamente su ciò che matura a livello di assetto democratico del Paese. Ogni riforma non è neutra, ma regola in diversi modi i rapporti tra cittadini ed istituzioni. Noi dobbiamo esserne consapevoli e non abdicare pedissequamente ai partiti responsabilità che sono anche nostre!!
E per chiudere, vorrei sottolineare il significato stringente dell’ultimo quesito: là dove si richiede che il rapporto tra eletto ed elettore sia diretto e non mediato dalla figura, pur consistente, dei vari leaders politici nazionali. Abbiamo bisogno di una riforma della politica che vada a verificare meglio tale rapporto; anche nell’era della televisione e del leaderismo abbiamo bisogno di innervare la democrazia di un rapporto più serio e continuativo con coloro che si candidano a rappresentarci.

Stringhini Natalino.