05 febbraio 2010

CATECHESI PER ADULTI

Primo incontro (Genesi 11,27-12,9)

ABRAMO
I passi nella fede

Giovedì 28 gennaio presso il Centro Parrocchiale si è tenuto il primo incontro di quest’anno di Catechesi degli “over 50”. Riportiamo, qui di seguito, il testo della relazione introduttiva, come richiesto da più partecipanti.


ABRAMO, LA CHIAMATA E LA PROMESSA

Quest’anno, come ben sapete, abbiamo la grazia di ragionare, di meditare soffermandoci sulla persona di Abramo, personaggio fondamentale per Israele (Jhwh stesso ama presentarsi come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe), egli era il “padre” che assicurava l’unità di tutto il popolo. Gesù non ne nega la paternità anzi afferma che per essere veri figli di Abramo non basta vantare la discendenza di sangue, ma bisogna compiere le sue opere, obbedendo a Dio.
Nell’incontro del 29 ottobre 2009, mediante la proiezione di numerose slides, abbiamo cercato di capire come va interpretato tutto il libro della Genesi. Come esso, più che un libro storico, debba essere ritenuto la narrazione di una storia “teologica”. Il narratore finale di queste pagine compose il racconto attorno al VII-VI secolo a.C. facendo riferimento ad antiche tradizioni orali popolari conservate nel tempo. Egli parte da Dio (il protagonista è sempre Dio) per svelarci il suo agire e i suoi progetti sull’umanità e ci rivela il cuore di colui che è stato definito l’”amico di Dio” e il “nostro padre nella fede”.
Confidiamo sul fatto che tutti abbiamo letto, sul testo che ci è stato consegnato, l’introduzione e il primo capitolo, per passare direttamente ai temi suggeriti in Genesi 11, 27 – 12,9.
Dopo una sintetica descrizione della vicenda personale (solo nomi e spostamenti), entriamo immediatamente nel vivo della parola di Dio. Nei versetti di Genesi 12, 1-9 vogliamo evidenziare in particolare tre momenti dell’azione di Dio in dialogo con Abramo così sintetizzati:
LA CHIAMATA DEL SIGNORE.
LA RISPOSTA DI ABRAMO.
LA PROMESSA DEL SIGNORE.
La chiamata del Signore. Perché Dio ha deciso di rivolgersi proprio ad Abramo? Non vi è risposta. L’intervento di Dio non è la risposta a un merito, né il riconoscimento di una particolare virtù. L’uomo non ha nessun titolo personale per essere chiamato. Spesso i protagonisti della storia di Dio, compreso Abramo, sono uomini come tutti, con lati positivi e con le loro debolezze. Il divino si inserisce nella storia di uomini veri, uomini come altri. La chiamata di Dio non è mai la chiamata ad un privilegio, a una salvezza per se stessi, ma sempre per un servizio e per una responsabilità nei confronti di tutta l’umanità.
Il Signore disse ad Abram: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”.
La chiamata divina è gratuita, ma esigente. Essa chiama ad un servizio che presuppone la separazione da tutto ciò che lega Abramo alla sua vita precedente.
Il Signore accompagnò l’ordine di partire con la promessa/garanzia di fare di lui una grande nazione, di benedire lui e tutte le famiglie della terra.

La risposta di Abramo. “ Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore”. In alcuni racconti biblici di chiamata l’uomo risponde dopo aver esitato o dopo aver posto domande: così la chiamata di Mosè, di Geremia e di altri. La Bibbia riconosce a colui che viene chiamato da Dio il diritto di esitare e di interrogare. Ma nella chiamata di Abramo nulla di tutto questo: Abramo non esita né pone domande. Semplicemente parte. Abramo è chiamato a un cambiamento di esistenza, a una conversione radicale senza nostalgie, abbandonando tutte quelle sicurezze che sono racchiuse nel presente già noto (la terra, la casa, i parenti) per andare verso un futuro la cui unica garanzia è la parola del Signore. Tutto questo è la fede: vivere non più un progetto teso nello sforzo di conservare ciò che già si possiede, ma un progetto proteso in avanti, giocato completamente su un futuro che ancora non si possiede.
Dio, quando da un ordine, tiene sempre nascosto qualcosa. Infatti il paese verso cui Abramo è invitato ad andare non è subito nominato (”che io ti indicherò”). Prima l’imperativo (“Vattene!”) e poi la promessa. L’imperativo è solo la condizione, l’annuncio è la promessa. “Vattene” è detto una volta sola, la parola benedizione cinque volte. L’imperativo è assorbito nella promessa.

La promessa del Signore. Dopo il comando troviamo la promessa, prima l’imperativo e poi la garanzia: Dio promette ad Abramo la benedizione. Con Abramo la storia cambia
segno o, meglio, il
Narratore che ha organizzato tutto il grande quadro, ci dice che con Abramo le cose cambiano, la maledizione di Adamo si trasforma nella benedizione di Abramo e la qualità determinante di Abramo che fa sì che il segno da negativo diventi positivo è l’obbedienza.
Come Adamo disobbediente ha rovinato l’umanità attirandole la maledizione, Abramo obbediente porta la benedizione all’umanità. Qui cambia la prospettiva del rapporto dell’uomo con Dio.
Se l’uomo riconosce la propria dipendenza da Dio, è Dio stesso che è disponibile a fare grande l’uomo («renderò grande il tuo nome»).
Ad Abramo chiede il coraggio di uscire dalle sue sicurezze, di lasciare quell’ambiente di vita normale, per garantirgli un grande nome e una benedizione.
Nel linguaggio biblico la benedizione è strettamente legata alla generazione, alla fecondità; benedire significa far diventare fecondo, ricco, abbondante, numeroso; è l’immagine della prosperità. La grande quantità di figli è segno della benedizione di Dio, cioè della sua presenza che dona la vita e la fa crescere.
Se, come abbiamo già detto, Adamo ha portato agli altri la maledizione, Abramo è chiamato a portare la benedizione a tutti i popoli che vorranno avere una buona relazione con lui.
Di conseguenza la benedizione di Dio non si ferma alla persona di Abramo, ma si estende a tutti coloro che crederanno come ha creduto Abramo, come dice s. Paolo nella lettera ai Galati (cap. 3): «sappiate che i figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede».
Qui troviamo il senso della nostra vita cristiana. Siamo figli di Abramo non perché discendiamo in linea retta da lui, non perché siamo nomadi o beduini o imparentati in qualche modo con lui, ma perché siamo credenti come lui! Paolo ci dice che la salvezza non viene dalla legge, ma dalla fede, esattamente come Abramo.
Infatti, ancora Paolo ci fa notare che Abramo fu dichiarato giusto ancor prima che fosse circonciso e prima che fosse promulgata la legge mosaica, concludendo che la giustizia divina è data per grazia a chi crede.
Come abbiamo già detto, Abramo obbedì senza pensarci due volte e il testo precisa: “Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran”. A proposito dell’età di Abramo al momento in cui lascia Carran va preso non in modo letterale, ma con beneficio d’inventario, perché il modo di contare gli anni al tempo del narratore era diverso dal nostro. Quello che qui si vuol far rilevare è che Abramo era in età avanzata. E in età avanzata, appunto, egli intraprende un viaggio lungo e faticoso, come pellegrino; cambia continuamente dimora, non ha una terra stabile, continua ad essere portatore della promessa, obbediente, credente, senza possedere e senza fermarsi. Erige delle stele od altari laddove il Signore gli comunica qualcosa.
Concludendo, Abramo è stato e continua ad essere il modello di pellegrino, il modello che vale per ognuno di noi, impegnati come siamo ad essere fedeli alla promessa di Gesù Cristo Signore.