19 febbraio 2010

I passi nella fede ABRAMO

CATECHESI PER ADULTI
Secondo incontro (Genesi 18,1-33)

Giovedì 18 febbraio presso il Centro Parrocchiale si è tenuto il secondo incontro di quest’anno di Catechesi degli “over 50”. Riportiamo, qui di seguito, il testo della relazione introduttiva.
ABRAMO
L’OSPITALITÀ. L’INTERCESSIONE

L’OSPITALITÀ
Il cap. 18 si apre con l’improvvisa visita di Dio: “Il Signore (IHWH) apparve a lui alle Querce di Mamre” (Gen 18,1). Questo versetto, una sorta di riassunto dell’intero racconto, è indirizzato al lettore, il quale fin dall’inizio è avvertito: Abramo sta per essere visitato dal Signore stesso attraverso un’apparizione. Egli sta probabilmente sonnecchiando nell’ora della siesta, sotto i morsi della calura: questo pare suggerire il testo, quasi a indicare l’ora in cui si tralascia il lavoro e ci si riposa, l’ora non adatta per l’ospitalità, il tempo in cui accogliere qualcuno risulta un disturbo. Ma ancor più significativo è il sostare di Abramo sulla soglia della sua tenda, in quella posizione che guarda fuori e contemporaneamente custodisce l’interno, sulla linea che segna il confine tra vita intima e vita pubblica.

Cosa vede Abramo
Egli alza gli occhi e vede tre uomini davanti a sé. Pare sorpreso da quella presenza, senza preavviso: i tre non stanno giungendo, ma sono là davanti a lui, come se non si fosse accorto del loro avvicinarsi. Sono tre uomini, tre stranieri che non appartengono alla sua carovana né a quella di Lot; eppure il suo stare sulla soglia gli ha concesso di rimanere aperto alla imprevedibilità della loro visita.

Osserva e ascolta il loro silenzioEgli, innanzitutto, discerne nei tre uomini in piedi, tre stranieri che “bussano”, in attesa nei pressi della sua tenda e tacciono, come tacciono sovente gli stranieri, i quali non sanno o non osano chiedere, e sono costretti a comunicare con il silenzio, linguaggio difficile da cogliere e decifrare.
Abramo sa anche ascoltare il silenzio dei suoi ospiti inaspettati, sa che l’uomo è parola e silenzio, parola dal e nel silenzio. Il padre dei credenti è infatti mosso interiormente dalla forza che abita chi è capace di ascoltare la voce che viene da fuori; lui che per primo ha ascoltato la voce di Dio che gli diceva: «Vattene dalla tua terra» (Gen 12,1), ora sa ascoltare anche questo silenzio eloquente. Chi è abituato ad accogliere la Parola dall’Altro, è condotto anche ad accogliere l’appello che viene dall’altro uomo, sia esso espresso verbalmente oppure no.

Prende l’iniziativa
Tocca ad Abramo prendere l’iniziativa, muovere il primo passo, agire concretamente. Ma tutto ciò che compie e dice non è che una conseguenza del suo ascolto così come tutti i suoi gesti ci raccontano la capacità di ospitalità di Abramo: non chiede i nomi dei suoi ospiti, né vuole sapere da dove vengano e cosa desiderino (oggi non gli chiederebbe se siano o meno in possesso del permesso di soggiorno), ma, pur ignorando la loro identità, si fa prossimo ai tre stranieri (cfr. Lc 10,36), corre loro incontro, si prostra a terra davanti a loro, invitandoli, o meglio supplicandoli, di fargli il dono di essere suoi ospiti (cfr. Gen 18,2-3). I tre sono di fatto accolti da Abramo come “ben-venuti”, cioè venuti nella bontà, e dunque riconosciuti quali portatori di bene e meritevoli di bene. In tal modo egli si “sotto-mette”, inchinandosi fino a terra, e, dopo aver reso onore a questi sconosciuti, solo a questo punto rivolge loro la parola.

Abramo si fa servo
“Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo” (Gen 18,3).
Abramo non sa chi sono i tre stranieri, eppure li chiama “Signore” e si definisce “servo”.
Chi si è presentato in silenzio per chiedere ospitalità – gli stranieri - è fatto emergere, è riconosciuto come non-estraneo, non-nemico: resta uno sconosciuto, ma è un uomo, una persona, una ricchezza, una “benedizione” per chi lo riceve e si pone al suo servizio! In queste parole di Abramo, vi è dunque l’essenza dell'ospitalità: che è un servizio, ed è autentica solo quando chi la esercita riesce a farsi servo dell’altro, a trattarlo come suo signore, come il Signore.
Riconosce nello straniero: un dono, una grazia
“... se ho trovato grazia ai tuoi occhi” (Gen 18,3)
Come in atteggiamento di venerazione Abramo cerca di avere, trovare grazia nei suoi confronti dai suoi ospiti, e presuppone quella condizione per cui l’altro ci cerca, ci guarda, si interessa a noi. Abramo interroga così gli occhi dei tre uomini, quasi facendosi mendicante di un loro sguardo, chiedendo un segno gratuito, un cenno che esprima l’accettazione del suo servizio.
Lo straniero, lo sconosciuto, il “nuovo” è un dono e una grazia, e se acconsente all’ospitalità diventa lui stesso soggetto di un’azione, di una benedizione che offre a chi lo ospita.

Avanza un’offerta
A questo punto, Abramo nel massimo rispetto e con accattivante discrezione, avanza un’offerta semplice e sobria, che non vuole condizionare né sedurre chi non ha ancora risposto all’invito: un po' d’acqua, la lavanda dei piedi, un boccone di pane, l’ombra delle querce (cfr. Gen 18,4-5).
Abramo, appunto perché si riconosce bisognoso degli stranieri come “una grazia e un dono”, ora è in grado di avvertire il bisogno di quei viandanti e fa nel contempo, una proposta che non mira a confondere l’ospite, bensì a metterlo a suo agio, a consentirgli di “rinfrancare il suo cuore”; è come se Abramo dicesse: “Non temete di disturbarmi, vi offro quello che ho, condividiamolo nella semplicità!”. Un po’ al singolare e un po’ al plurale.

Gli stranieri parlano
Finalmente anche i tre stranieri parlano: “Fa’ pure come hai detto” (Gen 18,5). Poche parole, per esprimere il gradimento, l’”amen” degli ospiti al saluto e all’invito di Abramo. Niente di più, ma è l’essenziale, anche se i tre sconosciuti continuano a rimanere tali per Abramo.

Le premure di Abramo
Abramo è premuroso, accogliente, indaffarato, come Marta. Fermiamoci un attimo a pensare. Il racconto fa presto, ma immaginiamo quanto tempo ci vuole, dal momento che si prende un vitello nella stalla a quando lo si serve cucinato; e nell’ora più calda del giorno Sara a impastare tre staia di farina! Sono un mezzo quintale: c’è da far focacce per un esercito! L’insieme è volutamente ridondante, è un racconto da orientale, il narratore vuole mettere in giusta evidenza il grande spirito di accoglienza di Abramo.

L’ennesima promessa di un figlio
Terminato il pranzo, i tre chiedono di Sara. Poi il Signore promette che al suo ritorno (continua il gioco plurale/singolare e viceversa, ma l’attore è sempre il Signore) fra un anno Sara avrà un figlio.
Occorre sottolineare che questa è l’ultima delle diverse promesse fatte dal Signore sull’argomento, perché, finalmente in questa circostanza viene fissato un termine preciso. I tempi del Signore non sono i nostri e viceversa!

L’INTERCESSIONE
Con un linguaggio molto umano il narratore presenta addirittura un soliloquio di Dio, un pensiero che il Signore custodisce dentro. Come faccia a saperlo il narratore non si sa, probabilmente lo inventa con la sua abilità narrativa. Il Signore, allontanandosi da Abramo, pensa: glielo dico o non glielo dico che sto andando a distruggere Sodoma? Mah! Visto che è mio amico è bene che glielo dica, e allora glielo dirò. E avendo preso la decisione il Signore rivela ad Abramo il suo intento punitivo.

La questione della giustizia
Abramo solleva la questione della giustizia: come è possibile che i giusti siano puniti insieme ai peccatori? Dio che è giusto non può commettere una simile ingiustizia. Il narratore non vuole presentare Abramo più giusto di Dio, ma vuole mettere in scena un dialogo fra amici; non siamo ad un livello elevato di moralità e di teologia, ma siamo di fronte a una scena narrativa piacevole. Abramo è l’amico di Dio e il narratore mette in scena un autentico dialogo di contratto orientale. Qui abbiamo una scena di contratto in campo teologico. Abramo comincia a chiedere la salvezza; se ci sono 50 giusti, bisogna salvarli, non si possono distruggere assieme agli altri. E così continua la trattativa con il Signore (che accetta di trattare) fino ad arrivare a 10 giusti. A questo punto la trattativa inspiegabilmente si interrompe.
L’episodio è raccontato con gusto e finezza. Abramo parla al Signore con l’eloquenza orientale un po’ retorica. Ma non dobbiamo fare delle grandi teologie o astrarre da questo episodio dei grandi principi etici; la bellezza è il racconto nei suoi particolari ed è la scena in sé dell’amico di Dio che intercede a favore degli altri: è un Abramo che prega per gli altri, che sono stranieri e delinquenti per giunta.
Il grande messaggio che soggiace al testo è che non c’è nessun giusto. L’unico giusto è il Cristo che prende su di sé il peccato degli altri e il solo giusto muore vittima del peccato altrui. Non abbiamo da contrattare niente con Dio, non andiamo a cercare di guadagnare qualche cosa, di strappare a lui qualche concessione in virtù dei nostri meriti.