05 febbraio 2010

XXIX GIORNATA DELLA SOLIDARIETÀ 13 - 14 febbraio 2010

Il lavoro: vocazione di ogni persona nel mondo

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4. DA CREDENTI … NEL LUOGO DI LAVORO
❍ Il lavoro è dignità, anche se è faticoso. Dio mi ha innalzato al livello di continuatore e di custode del suo lavoro (Gen2,15). Così mi ha offerto intelligenza, il gusto della ricerca, la volontà di operare, di imparare e quindi di acquisire competenza.
❍ Il lavoro è un servizio. Mentre guadagno per una mia autonomia e per la mia famiglia, si sviluppa il senso del lavoro come vocazione di ogni persona adulta nel mondo, perché tutti possano accedere ai beni della creazione necessari all’umanità, beni che Dio ha disseminato nel mondo, sul territorio.
❍ Il lavoro è collaborazione. Non è possibile lo sviluppo se non si mettono insieme competenze, capacità, genialità, attenzioni.
❍ Il lavoro vuole giustizia. Una realtà che cresca ha bisogno del rispetto della dignità e delle esigenze di ciascuno affinché ogni persona si senta valorizzata.
❍ Il lavoro vuole legalità. Per vivere della giustizia, ognuno deve seguire le leggi del proprio paese, o se errate, democraticamente ci si impegna a cambiarle e a farle rispettare.
Nel rispetto della legge è possibile costruire un rapporto di pace.
❍ Il lavoro è un diritto per tutti. “La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti” (CV 32).
❍ Il lavoro è un dono. Non lo si ricorda molto. Ma ogni lavoro fatto bene, al di là del costo che può essere corretto o scorretto (e quindi ingiusto), ogni lavoro, ove ci si metta con responsabilità dando il meglio di sé, non può essere pagato dal danaro che è una cosa e che comunque viene dato secondo contratti o convenzioni. Il lavoro non è una merce, e nessuna merce può pagare il lavoro.
❍ Il lavoro è un dono ereditato. Senza ricordarlo mai, noi viviamo una vita che è stata costruita da altri: case, strade, invenzioni, energia, libri, pittura, macchine, aziende, comodità, acqua in casa, ecc. Noi non paghiamo brevetti, capolavori, progetti di case già costruite o di chiese o cinema o municipi. Usiamo, trasformiamo, abitiamo.
❍ Il nostro lavoro sarà lasciato come dono a coloro che verranno dopo di noi e sarà gratuito. Se sarà fatto bene non ci ringrazieranno perché non ricorderanno, ma noi li abbiamo aiutati. Ma quale mondo lasceremo se il lavoro, che si sviluppa oggi, sta sfruttando anche le risorse non rinnovabili? Se lasceremo solo inquinamento e colline di immondizie, ci malediranno e il nostro lavoro li penalizzerà.

5. LA PARROCCHIA EDUCA ALLA SOBRIETÀ, ALLA SOLIDARIETÀ E AI NUOVI STILI DI VITA
Si stanno riscoprendo dei gravi guasti che la nostra società ha sviluppato nelle scelte quotidiane.
Che cosa fare, allora, come cristiani?
– di fronte al consumismo, che depaupera il mondo ingoiando materie prime che sono sempre meno rinnovabili o in fase di estinzione, bisogna rivedere i consumi, non dimenticando i poveri;
– di fronte al lusso e allo spreco siamo impegnati ad un nuovo criterio di vita nella sobrietà, scoprendo l’essenziale, non sprecando e purificando la terra;
– di fronte all’incapacità a saper accogliere i disperati, ci impegniamo a rendere possibili, per una legislazione attenta e corretta, orizzonti allargati di vita e di dignità, trovando lavoro, spiegando culture, introducendoli nella società;
– di fronte all’isolamento dei giovani, vanno offerte loro, anche se in piccoli gruppi, possibilità operose di protagonismo e di conoscenza, sapendo guardare il futuro con fiducia, e mettendo a loro disposizione le strutture esistenti;
– di fronte al silenzio sulle realtà marginali si aprano gli occhi sulla vita reale della gente;
– di fronte al moderatismo come acquiescenza rispetto ai problemi dei più deboli, bisogna indignarci, incominciando a progettare novità;
– di fronte all’operare senza coordinamento, ci si deve accorgere della banalità e della povertà dei risultati, obbligandoci a non far mancare migliori possibilità che nascerebbero dal lavoro in rete;
– di fronte al lavoro come merce si aprano gli occhi sull’inopportunità di pensare che il lavoro sia soltanto fonte di guadagno per se stessi o unicamente fattore di produzione, che strumentalizza e impedisce il pieno riconoscimento della dignità di chi lavora. La presenza di persone mature ci può condurre a scoprire la dignità e la libertà di un lavoro dove mettiamo intelligenza, competenza, capacità (dove è possibile), ma almeno speranza e solidarietà dove la banalità ci schiaccia. E così impariamo a superare l’ambiguità e la mostruosità della degradazione.
– di fronte alle sovvenzioni che vengono erogate “con denaro pubblico”, scoraggiamo chi vuole approfittare senza un serio progetto utile. Qualche volta, addirittura, bisogna rifiutarle (qui si parla di sovvenzioni lecite). E diciamolo con chiarezza. “Non si approfitta del danaro pubblico”.

(testo stralciato dal documento elaborato dalla Pastorale Diocesana del Lavoro)