18 ottobre 2013

È lui il nuovo prete ...?

“È lui il nuovo prete?” poche parole dette a voce bassa ma non così tanto da non poterle intendere! E il tono era di chi forse si aspettava chissà chi … “eh sì, colpa dei capelli arruffati e della barba un po’ incolta” ho pensato prima di volare dal barbiere! E ancora:  “Certo che lei non è per nulla fotogenico! La foto che avevano messo sugli avvisi non le rende giustizia! È molto meglio di persona!”. Due battute per sorridere … molte strette di mano, un’indigestione di nomi e tanti sorrisi e storie che già custodisco che mi fanno sentire a casa. Al Gratosoglio c’è molto da lavorare ma per la solitudine e la malinconia proprio non ci sarà spazio. E per questo vi dico già grazie.

Vorrei in questo articolo trascrivere quanto condividevo con gli educatori nella due giorni di apertura dell’anno a Magreglio il 21 e il 22 settembre, giorni che sono stati per me una piattaforma per farmi conoscere e lo spunto per iniziare a lavorare ma di più a sognare assieme.

Io credo che la proposta dell’oratorio sia tutt’altro che al capolinea. L’intuizione di san Carlo nel ‘500 di un luogo dove si provvedesse all’educazione religiosa dei ragazzi di strada; la ricchezza apportata dall’esperienza di don Bosco, una vera e propria tela di proposte per rispondere all’urgenza di stare accanto ai ragazzi più in difficoltà per renderli buoni cristiani e onesti cittadini; l’evoluzione del ‘900 con una certa trasformazione quasi movimentistica non senza una buona tenuta del livello popolare, ci consegnano una ricchezza che non possiamo perdere e che dobbiamo trafficare per renderla ancora più preziosa. Io credo che l’oratorio nelle nostre periferie sia un vero ponte fra la Chiesa e la strada, una casa dove si educa a partire dal bisogno concreto dei nostri giovani (cf. Sinodo XLVII) o anche un luogo dove potenzialmente tutti si sentono accolti, molti si lasciano accompagnare, alcuni arrivano a incontrare il Signore in una rete di proposte unite, ma diversificate, dove sia facile accedere a livelli sempre più profondi.
Se dovessi individuare i punti cruciali senza i quali la nostra proposta di oratorio non potrebbe reggersi non troverei niente di più basilare e niente di più solido di questi. Mi piacerebbe che nelle singole programmazioni di équipe emergesse per ogni iniziativa il riferimento anche implicito ad essi e che questi fossero anche parametri di verifica per le nostre équipe:
- La dimensione spirituale: fare esperienza di Gesù.
- La dimensione comunitaria: quando lo stare insieme è sorgente di guarigione e apertura alla vita.
- La dimensione missionaria: quando il muretto si fa basso.


C’è un di più che abita i nostri cortili, un di più che è uno slancio verticale, un di più che è non un qualcosa di nozionistico e tanto meno dogmatico o semplicemente catechetico. Il nostro oratorio è il luogo privilegiato dove un ragazzo del Gratosoglio può scoprire che esiste un Signore che lo chiama per nome come partner unico e irripetibile all’avventura della vita e vuole fare di lui strumento eletto per trasformare la storia e le sue strettoie, che ai suoi occhi la sua vicenda è preziosa indipendentemente da ogni merito – anzi, più si è piccoli, fragili, deboli e più lui si diverte a manifestare la sua Misericordia – un Signore che vuole donarsi a lui e in lui continuare ad annunciare il Vangelo della liberazione per ogni oppresso. Noi vogliamo accompagnare i nostri ragazzi sulla soglia dell’incontro con Gesù  nella certezza che lui sa parlare ai loro cuori come ai nostri. A noi poco importa quale sia il canale di accesso alla fede: per qualcuno sarà la via della Liturgia, per qualcun altro la via della formazione e per altri la via dell’azione della carità. A noi importa di non creare alcun ostacolo con la Parola che dà senso e con il Signore che risponde alle nostre attese di felicità.

Un gruppo deve prevedere necessariamente momenti espliciti dedicati alla preghiera come una scuola che insegna a pregare anche nella solitudine o in piccoli gruppi; deve prevedere di accompagnare i ragazzi a gustare sempre più la liturgia, deve offrire nei contenuti un rimando a Gesù più come un interrogativo che stimola la ricerca che una risposta data in modo scontato alle domande più vere.


La dimensione comunitaria, che parte dalla semplice aggregazione e arriva alle proposte più intense, fino a quell’essere un unico corpo mentre celebriamo l’Eucarestia, mi sembra sempre più una ricchezza da scoprire e da proporre in un tempo che esaspera le individualità e rende le nostre città simili a deserti generando situazioni di infelicità o addirittura in cui si rasenta il patologico.

La comunità è scambio vitale, energia, casa dove trovi un fratello, almeno uno, che sa darti la mano e farti sentire importante. La comunità è luogo dove correggi i tuoi sbagli ma non ti senti inchiodato al passato perché scopri accanto a te un altro capace di perdonarti e così rendere concreto il perdono di Dio, quella forza d’amore che rende nuovi. Qui trovi compagni che possono essere gli amici significativi che non perderai più. La comunità che è l’oratorio resta infine una casa di passaggio dove arricchisci la tua ideale cassetta degli attrezzi per poi partire, uscire, diventare protagonista nel mondo.

La casa non è formata da un’unica stanza; l’oratorio non ha un unico punto di aggregazione ma molte stanze tutte comunicanti fra di loro. Ci saranno stanze più interne e poi c’è il cortile. Tutto va curato, tutto deve permettere di uscire allo scoperto e di camminare in avanti. La nostra programmazione deve pensare a tempi per l’aggregazione e a momenti più intensi come le vacanze o le convivenze che sono strumenti unici per creare comunità.

E noi per primi come educatori vogliamo riscoprire il valore della comunità sentendoci comunità educante, comunità educatori: diversi per età, per caratteri e intuizioni, diversi anche nei ruoli che rivestiamo in oratorio eppure uniti da un’unica missione, uniti in una convivialità di differenze che rende credibile la fede in un Dio uno e trinitario, uniti esplicitamente nei momenti della preghiera e in quelli della formazione e, se possibile, nell’aggregazione con i nostri ragazzi in alcuni momenti dell’anno. la comunità educatori avrà dei momenti comuni e dei momenti di équipe.

Anche il tema dell’anno Il campo è il mondo sottolinea l’urgenza di non rinchiudersi nella sicurezza di un recinto ma di osare uscire, andare incontro all’uomo dove vive, a rendere concreto per l’oggi il mistero dell’incarnazione per cui anche noi come il Figlio possiamo camminare sulle strade raccogliendo nella nostra bisaccia quanto c’è di buono, di bello e di vero attorno a noi e per raccontare qual è la nostra speranza. Io vorrei che il nostro oratorio avesse un muretto basso. Il muretto occorre per dire che quello spazio, quelle iniziative, sono altro rispetto alla strada, c’è un mistero che lo abita, c’è una comunità disposta a proporti un’alternativa seria. Ma il muro deve abbassarsi perché l’oratorio è per i ragazzi del nostro quartiere  e non per un’élite, perché noi possiamo uscire per incontrare il mondo e per lasciarci graffiare per poi ricollocarci in esso. Ogni gruppo dovrebbe porsi come obiettivo la crescita del numero dei partecipanti o comunque interrogarsi seriamente sulla sua capacità di essere rete gettata sul quartiere. Ma allo stesso tempo vanno curati i momenti di passaggio e di uscita in cui i ragazzi diventano protagonisti del loro mondo. 
d. Giovanni