06 settembre 2014

Ecco l’impresa: una comunità educante

di mons. Mario Delpini 


L'ILLUSIONE DI DAVIDE
Davide si immaginava di dare gloria a Dio e di rendersi glorioso agli occhi dei popoli costruendo per Dio una casa che fosse splendida, una delle meraviglie del mondo. Si immaginava che le sue immense ricchezze e il suo potere, la sua intraprendenza e la sapienza dei suoi consiglieri potessero produrre qualche cosa di gradito a Dio e forse anche un punto di riferimento per tenere unito il popolo convocato in un solo luogo santo per adorare Dio.

«Educare le nuove generazioni è più promettente che vantarsi di risultati clamorosi»
Dio però ha fatto sapere a Davide che era un illuso, un presuntuoso e che la sua devozione era male orientata. Il Signore del cielo e della terra non ha bisogno di una casa costruita da mano d'uomo, non l'ha mai chiesto, non è di queste imprese che si compiace (cfr. 2Sm 7,4ss). Piuttosto Dio può prendersi cura della casa di Davide e renderla stabile per sempre. Infatti: come può Davide costruire una casa al Signore, con le mani sporche di sangue? «Non costruirai una casa al mio nome, perché tu sei stato un guerriero e hai versato sangue» (1Cr 28,3). L’illusione di Davide è di poter accontentare Dio e tenere unito il popolo con un edificio sfarzoso.

Il desiderio di Dio è piuttosto che si stabiliscano entro il suo popolo legami di fraternità e rapporti di pace. Per questo sarà gradita a Dio l'impresa di tessere legami che rendano visibile la comunità educante: per dare gloria a Dio e per tenere unita la gente, tessere rapporti è più importante che compiere grandi imprese, dedicarsi insieme a educare le nuove generazioni è più promettente che potersi vantare di risultati clamorosi e di successi da esibire. Ecco l'impresa che ci aspetta: favorire gli incontri, la conoscenza, la condivisione della passione educativa e far riconoscere ai ragazzi e alle ragazze che le persone che si interessano di loro sono il segno della premura di Dio e costituiscono insieme il luogo dove abita il Signore. Di fatti si trovano tutti insieme per la Messa della domenica.

L’INGENUITA' DI PIETRO
Pietro forse cercava di mantenere la pace, dando ragione un po’ agli uni e un po’ agli altri. Quando si trovava tra i cristiani che non erano giudei, stava a proprio agio con loro, quando erano presenti i giudei, che non volevano mescolarsi con gli altri, anche lui non si mescolava con gli altri (cfr. Gal 2, 12). Pietro sbagliava per ingenuità o per un complesso di inferiorità nei confronti dei Giudei. Paolo però lo rimprovera, perché l'ingenuità o la paura di Pietro genera confusione, vuole dare ragione a tutti e finisce per tacere la novità cristiana, che «non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero, non c'è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28-29).

«La comunità cristiana sente il dovere di formarsi al pensiero di Cristo»
La premura educativa di cui la comunità educante deve farsi carico si caratterizza per un servizio al Vangelo: non si tratta di consegnare ai ragazzi qualche consiglio ispirato al buon senso che non scontenti nessuno. La comunità cristiana sente il dovere di formarsi al pensiero di Cristo (1Cor 2,16) e di accompagnare i ragazzi e le ragazze dell'iniziazione cristiana e tutti gli altri alla bellezza di cono­scere Gesù e il suo Vangelo. Genitori ed educatori, che si sentono uniti dalla passione educativa, sono convinti che la parola talora scomoda del Vangelo è più utile alla vita e più affidabile di ogni altra parola che possa essere più simpatica o accondiscendente alle attese di un momento.

LA PRESUNZIONE DI PAOLO
Paolo si era preparato bene: un ottimo discorso! Ancora oggi lo si legge con gusto e con ammirazione. Per prepararsi aveva studiato la filosofia degli ateniesi e imparato a memoria le frasi dei loro poeti, aveva scelto bene le parole e organizzato un'esposizione logica e convincente.
Il discorso fu però un fallimento: «Alcuni lo deridevano, altri dicevano: "Su questo ti sentiremo un'altra volta"» (At 17,32). Paolo presumeva di convincere gli ateniesi della verità cristiana con un bel discorso, con un ragionamento brillante, con un argomentare ben costruito. Ha dovuto imparare che il Vangelo si diffonde per potenza di Spirito Santo e per la testimonianza di una comunità che pratica la carità.
Con questa persuasione è chiamata ad operare la comunità educante, cioè tutti coloro che, dedicandosi a educare i ragazzi, condividono la convinzione che ogni attività educativa porta frutti duraturi se introduce nella vita cristiana, cioè nel rapporto personale con Gesù. Per questo non si può immaginare che basterà una catechista che sappia preparare un bel discorso, che sia esperta di ogni buona tecnica per comunicare senza annoiare: è necessario che ci sia una buona catechista, ma non basterà, perché l'educazione cristiana non si riduce a una lezione da spiegare. Serve una comunità di persone che, vivendo la vita cristiana così come sono capaci, la rendano desiderabile e attraente anche per gli altri.

«Serve una comunità di persone che, vivendo la vita cristiana, la rendano desiderabile»
L’indicazione pastorale che caratterizza l'anno pastorale che inizia invita a concentrare l'attenzione sul dare visibilità e sostanza alla comunità educante. E forse qualche cosa si può imparare anche dall'illusione di Davide, dall'ingenuità di Pietro e dalla presunzione di Paolo: tessere rapporti è più gradito a Dio e più efficace che avviare iniziative gloriose; essere fedeli al pensiero di Cristo è più importante che cercare di non scontentare nessuno; un bel discorso non convince nessuno, tanto meno i ragazzi, se non esprime la vita di una comunità che meriti di essere condivisa.